Claude Debussy: Voiles (da Preludi, libro I, per pianoforte)
Claude Debussy (1862 – 1918) ha scritto la serie dei 24 Préludes – divisa in due libri di 12 composizioni ciascuno – fra il 1909 e il 1913. Il primo libro, dal quale è tratto Voiles (è il secondo numero della serie) è del 1909-10.
Queste composizioni – tutte piuttosto brevi: tranne una hanno una durata compresa fra i due e i quattro minuti circa – vanno considerate come una sorta di diario intimo del musicista ed hanno una particolarità: il titolo – ma probabilmente sarebbe più giusto definirlo un’allusione (o un suggerimento?) – è posto non in apertura, ma dopo la fine di ogni pezzo, fra parentesi, e dopo tre puntini di sospensione, quasi a significare la volontà dell’autore di lasciar libero l’interprete nel crearsi un’immagine personale; un titolo “imposto”, al contrario, avrebbe finito inevitabilmente per incanalarne la fantasia in un senso ben preciso. “È una tattica grafica alla Mallarmé che si ispira al più puro simbolismo”, così la definisce Alfred Cortot, anche se poi lui stesso tende a spiegare ogni Preludio in chiave decisamente naturalista (cfr. A. Cortot: La musique française de piano, Parigi 1930-44). Ma se consideriamo i principi del pensiero simbolista – l’evocazione di sottili e sfumati stati d’animo individuali, di immagini spesso legate alla dimensione onirica, la celebrazione dell’istinto e dell’irrazionale presente nella psiche umana – vediamo come questi pezzi ben si adattino a questo mondo emotivo e poetico.
Il brano in esame risulta addirittura emblematico in questo senso, poiché già il titolo stesso crea problemi di chiara interpretazione. La parola francese voiles, infatti, significa tanto vele che veli, e questa ricercata ambiguità di significato costituisce un motivo in più di suggestione. Dal punto di vista strettamente musicale, poi, è certo un elemento di indeterminazione, di sospensione l’uso costante – sistematico si direbbe, tranne in un breve momento pentafonico – della scala esatonale, che per sua natura non produce mai accordi consonanti in senso tradizionale. Così in tutto il pezzo non viene mai presentata una cadenza su un accordo che possa rappresentare un momento di “posa” armonica, cosa che invece si trova negli altri brani del volume, e questo elemento, combinato con il frequente uso delle triadi aumentate (naturale “prodotto” della scala esatonale) crea quell’atmosfera di indeterminatezza – il tratto veramente caratteristico del brano – che a seconda della visione che ne dà l’interprete può ingenerare nell’ascoltatore una vasta gamma di sentimenti, da atmosfere soffuse di una calma staticità, fino all’inquietudine.
Dal punto di vista strutturale il pezzo – che reca come indicazione agogica il Moderato e come ulteriore didascalia con un ritmo carezzevole e senza rigore – consta essenzialmente di tre parti, la prima delle quali presenta tre idee musicali ben delineate.
Il primo elemento (A) è costruito tutto per terze maggiori, che spesso si presentano graficamente sotto forma di quarte diminuite.
Il secondo (B) è espresso sempre nel basso ed ha un carattere puramente ritmico, vagamente incombente.
Il terzo (C) ha una dimensione decisamente melodica.
Questi tre elementi vengono sovrapposti alle battute 9-12.
La seconda parte, da battuta 22, è da considerarsi uno sviluppo ed è divisa in tre momenti ben distinti.
Il primo comincia con l’elaborazione della quartina di biscrome tratta da (A).
Il secondo presenta un elemento coloristico nella parte acuta, mentre nella parte centrale si risente la terza idea (C) armonizzata con triadi aumentate e raddoppiata all’ottava superiore.
Il terzo è quello dove Cortot, con immagine che al di là di tutto risulta innegabilmente suggestiva, ha intravisto “un colpo di vento che gonfia la vela di un barca”.
Il pezzo, che fino ad ora era stato rigorosamente esatonale (non era mai uscito dalla note della scala tranne un brevissimo passaggio dove per fare un cromatismo in note di passaggio erano stati introdotti un SOL e un REb (battuta 31), diventa qui pentafonico, per sei battute che si svolgono completamente sui tasti neri del pianoforte. (E qui, come in tante occasioni in Liszt, in Chopin e in mille altri, appare chiaro come la struttura fisica di una tastiera di pianoforte abbia suggerito la creazione musicale del passaggio, o meglio ancora ne abbia evocato la scrittura. Questo non deve stupire poiché il termine scrittura per un compositore non è sinonimo di grafia ma possiede un significato enormemente più ampio: vuol dire traduzione con i mezzi strumentali a disposizione di un’idea musicale, ed è quindi riferito agli aspetti artigianali del comporre).
Alla battuta 48 si ritorna all’esatonalismo puro con la terza sezione dello Sviluppo, dove viene ripresentato l’elemento (C), ma all’acuto e arricchito da rapide scale esatonali ascendenti, con funzione coloristica simile a quella delle precedenti scale pentafoniche, e per questo da considerarsi idealmente legato all’elemento pentafonico delle battute 42-47. Nel basso, modificato dal salto di ottava, si può ravvisare un’allusione all’elemento (B).
Come curiosa particolarità ortografica vale la pena di segnalare un SOL# scopertamente sovrapposto ad un LAb (il caso si era già verificato, meno evidentemente, a battuta 50).
La terza parte è rappresentata dalle sette battute finali, nelle quali, a mo’ di ripresa si riascolta l’idea iniziale (A), senza comunque abbandonare l’elemento in rapide scale ascendenti diventato ormai un importante polo di attenzione per l’ascoltatore.
Carlo Deri, 2004
Claude Debussy (1862 – 1918): Voiles (da Preludi, libro I, per pianoforte) Debussy Voiles Preludes, Book 1 No. 2
———————————
Il testo della presente analisi – qui riportato con il gentile permesso dell’Editore – è stato pubblicato in Renzo Cresti: Ipertesto di Storia della Musica, Edizioni Feeria, San Leolino, Panzano in Chianti, 2004 e in Renzo Cresti: La Vita della Musica, Edizioni Feeria, San Leolino, Panzano in Chianti, 2008 http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=9&quale_dettaglio=42
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.