Giuseppe Verdi: La scena del gioco dal secondo atto de La Traviata (scena XII)
La Traviata – un’opera composta “di getto”, infatti il primo atto è stato creato in soli quattro giorni e la strumentazione ne ha richiesti appena dieci – andò in scena a Venezia, al Teatro La Fenice, il 6 marzo 1853. Verdi aveva assistito, un anno prima, a Parigi, al dramma La dame aux camélias che nel 1852 Alexandre Dumas figlio aveva tratto dal suo romanzo omonimo pubblicato nel 1848. Verdi ne rimase molto colpito e intuì subito la grande occasione offerta dal soggetto, che gli appariva nella sua portata innovativa. Prima di tutto l’azione era ambientata in tempi attuali, poi i personaggi non erano i potenti della Terra, non c’erano eroi leggendari, non c’era un mondo di favola, ma gente reale, viva. Anzi, qui la protagonista non è nemmeno una donna “rispettabile”, almeno secondo i canoni della morale corrente, ma una mantenuta, una donna perduta, che conduce una vita agiata dipendendo dai sontuosi “regali” dall’amante di turno. L’idea ispiratrice del romanzo era stata tratta da un fatto veramente accaduto – ovviamente idealizzato e trasfigurato nella finzione letteraria, ma in sostanza pur sempre reale – appena qualche anno prima; quindi all’epoca c’era chi aveva conosciuto di persona i protagonisti della vicenda. A Parigi, al cimitero di Montmartre, c’è la sepoltura della sfortunata Alphonsine Plessis, morta nel 1847 a soli 23 anni, l’involontaria ispiratrice della storia (che nel romanzo si chiamerà Marguerite Gautier e nell’opera Violetta Valery); la tomba è ormai divenuta un monumento storico curato dall’amministrazione parigina, e ancor oggi visitatori di tutto il mondo vi depongono fiori.
Il secondo atto dell’opera è diviso in due parti: la prima, ambientata nella casa di campagna presso Parigi, dove i due innamorati sono andati a vivere, comprende momenti di alto coinvolgimento emotivo come il grande duetto fra Violetta e Germont (scena V) e l’Amami Alfredo della scena VI; la seconda parte (il Finale secondo) è ambientata nella casa parigina di Flora durante una grande festa di Carnevale. Le prime tre scene sono improntate all’allegria: la IX comincia con una parte orchestrale brillante che immediatamente crea l’ambientazione della festa da ballo; è qui che i personaggi secondari – Flora, il Marchese, il Dottore – ci fanno sapere che Alfredo e Violetta si sono lasciati. Le scene X e XI sono occupate da due momenti corali, il coro delle Zingarelle e quello dei Mattadori, che animano un clima già molto allegro.
Nella scena XII entra improvvisamente Alfredo. L’atmosfera perde di colpo tutta la gaiezza iniziale e si fa immediatamente tesa anche grazie ad uno stacco di tempo veloce, e da un fraseggiare rotto da cesure.
Alfredo!… Voi!…
Dopo 20 battute ha inizio la scena del gioco. L’indicazione agogica è Allegro agitato, la dinamica prescritta è un estremamente pp, e la tensione si accresce. Verdi ottiene questo effetto privando i cantanti della loro funzione melodica, per passarla interamente all’orchestra. Qui la voce dei cantanti è trattata in una dimensione essenzialmente armonica ed è finalizzata al declamato drammatico: le parti cantate si svolgono su pochissime note, a volte anche su di un unico suono ribattuto. L’orchestra impone un ritmo incalzante e ossessivamente ripetuto, che riveste una melodia con poco respiro, costantemente spezzata dall’accentuazione dei due tempi della battuta (6/8), marcata con rudezza dalle frequenti acciaccature.
L’atmosfera di ansiosa agitazione si protrae con passo inesorabile, finché dopo trentuno battute non viene infranta improvvisamente dalla voce di Violetta con un intervento di appena 8 battute. La frase, melodicamente, è semplicissima: una scala prima ascendente, poi discendente a valori sempre uguali, accompagnata da un crescendo nel salire e un diminuendo nel discendere, ma per contrasto con ciò che è si è sentito finora, l’effetto che ne risulta è di straordinaria efficacia. La voce di Violetta emerge portando un’istantanea luminosità su tutta la scena.
E’ uno di quei momenti che ribadiscono l’idea che molti commentatori del lavoro hanno manifestato: l’opera “è” Violetta; tutto il resto – comprese le figure di Alfredo e di Germont – è un pretesto per far vivere la protagonista. E d’altra parte è lei l’unico essere umano vero e proprio del dramma; è lei che per un motivo o per l’altro riesce a scrollarsi di dosso il passato e a ribaltare la sua esistenza. Non è nemmeno un salto nel buio, il suo: Violetta sa che cosa l’aspetta e sa anche che da lì a poco la sua vita finirà. Ma ormai l’amore ha innescato un inarrestabile processo di recupero della dignità umana, che da quel fantoccio che era, da “maschera della Commedia dell’Arte” – al pari degli altri di quel mondo che finora è stato anche il suo – la porta ad una rinascita interiore che finalmente la fa donna. E l’atto di amore che crea il miracolo non è rivolto tanto ad Alfredo (che in fondo è dipinto come un giovanotto gaudente, viziato e capriccioso, con poca capacità di comprensione del processo interiore che agita la sua donna) o verso Germont (che impersona la spietatezza delle convenienze del mondo borghese), quanto a se stessa come donna, all’essere, all’umanità che sente in sé. C’è in questo percorso una dimensione morale così profonda che non scade mai nel moralismo e che scalfirà l’animo anche degli altri due personaggi principali: se Alfredo e il padre recupereranno un minimo di spessore umano lo dovranno unicamente a lei.
Subito dopo questa repentina illuminazione l’atmosfera di esasperata tensione riprende inesorabile. La frase di Violetta verrà riproposta altre due volte, sforando dal contesto, esattamente come la personalità del personaggio. L’ultima volta anticiperà di poco il momento della sfida a duello fra Alfredo e il Barone Douphol.
La scena del gioco si chiude così come è si è aperta, morendo su un pianissimo con quattro “p”
Più tardi la rivincita […] Andiam
Segue poi la scena XIII fra una Violetta implorante e un Alfredo fuori di sé dall’ira, che sfocerà nell’offesa della scena XIV; il secondo atto avrà termine con il Concertato della scena XV.
Giuseppe Verdi (1813 – 1901): la Scena del gioco dal secondo atto de La Traviata
[SCENA IX: Galleria nel palazzo di Flora, riccamente addobbata e illuminata. Una porta nel fondo e due laterali. A destra un tavoliere, con quanto occorre pel giuoco, a sinistra, ricco tavolino con fiori e rinfreschi, varie sedie e un divano.Flora, il Marchese, il Dottore, ed altri invitati entrano dalla sinistra discorrendo tra loro] […]
[SCENA X: Detti e molte signore mascherate da Zingare, che entrano dalla destra] […]
[SCENA XI: Detti, Gastone ed altri amici mascherati da Mattadori Piccadori spagnuoli, ch’entrano vivacemente dalla destra] […]
SCENA XII Scena del gioco (Scena XII)
Detti ed Alfredo, quindi Violetta col Barone. Un servo a tempo
[…]
GASTONE (si pone a tagliare, Alfredo ed altri puntano).
VIOLETTA (entra al braccio del Barone).
FLORA (andandole incontro)
Qui desiata giungi…
VIOLETTA
Cessi al cortese invito.
FLORA
Grata vi son, barone, d’averlo pur gradito.
BARONE (piano a Violetta)
Germont è qui!… il vedete!…
VIOLETTA (piano)
(Ciel! egli è vero!) Il vedo.
BARONE (piano)
Da voi non un sol detto si volga
a questo Alfredo.
VIOLETTA (da sé)
(Ah, perché venni, incauta!…
pietà di me, gran Dio!)
FLORA
Meco t’assidi: narrami quai novità vegg’io?… (Fa sedere Violetta presso di sé sul divano; il Dottore si avvicina ad esse, che sommessamente conversano. Il Marchese si trattiene a parte col Barone, Gastone taglia, Alfredo ed altri puntano, altri passeggiano).
ALFREDO
Un quattro!
GASTONE
Ancora hai vinto.
ALFREDO
Sfortuna nell’amore
Vale fortuna al giuoco!… (Punta e vince)
TUTTI
È sempre vincitore!…
ALFREDO
Oh, vincerò stasera; e l’oro guadagnato
Poscia a goder tra’ campi ritornerò beato.
FLORA
Solo?
ALFREDO
No, no, con tale che vi fu meco ancor,
Poi mi sfuggìa…
VIOLETTA
(Mio Dio!)
GASTONE (ad Alfredo, indicando Violetta)
(Pietà di lei!)
BARONE (ad Alfredo, con mal frenata ira)
Signor!…
VIOLETTA (piano al Barone)
(Frenatevi, o vi lascio)
ALFREDO (disinvolto)
Barone, m’appellaste?
BARONE
Siete in sì gran fortuna,
Che al giuoco mi tentaste…
ALFREDO (ironico)
Sì!… la disfida accetto…
VIOLETTA
(Che fia? morir mi sento!)
BARONE
Cento luigi a destra… (punta)
ALFREDO
Ed alla manca cento…(punta)
GASTONE (ad Alfredo)
Un asso… un fante… hai vinto!…
BARONE
Il doppio?…
ALFREDO
Il doppio sia.
GASTONE
Un quattro… un sette… (tagliando)
TUTTI
Ancora!…
ALFREDO
Pur la vittoria è mia!
CORO
Bravo davver!… la sorte è tutta per Alfredo!…
FLORA
Del villeggiar la spesa farà il baron,
Già il vedo.
ALFREDO (al Barone)
Seguite pur…
SERVO
La cena è pronta.
CORO
Andiamo. (S’avviano)
ALFREDO (tra loro a parte)
Se continuar v’aggrada…
BARONE
Per ora nol possiamo:
Più tardi la rivincita.
ALFREDO
Al gioco che vorrete.
BARONE
Seguiam gli amici; poscia…
ALFREDO
Sarò qual bramerete.
TUTTI (entrano nella porta di mezzo: la scena rimane un istante vuota).
Carlo Deri, 2004
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Il testo della presente analisi – qui riportato con il gentile permesso dell’Editore – è stato pubblicato in Renzo Cresti: Ipertesto di Storia della Musica, Edizioni Feeria, San Leolino, Panzano in Chianti, 2004 e in Renzo Cresti: La Vita della Musica, Edizioni Feeria, San Leolino, Panzano in Chianti, 2008 http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=9&quale_dettaglio=42
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