La musica fiorentina fra la fine del ’400 e l’inizio del ’500
Già prima che i Medici ne diventassero i signori, Firenze era la capitale della cultura europea. Era la città dalla quale avevano tratto le origini i grandi della letteratura e delle arti. I Medici valorizzarono questa eredità e Firenze continua a detenere per lungo tempo il suo primato.
Fra gli avvenimenti più degni di nota dobbiamo citare la nascita dell’Accademia Platonica, sotto Cosimo I, che divenne ben presto palestra di speculazione intellettuale. All’interno di essa operò Marsilio Ficino, che in seguito diventerà il maestro di Lorenzo il Magnifico.
Lorenzo è una delle figure di maggior rilievo di tutto il ’400. Poeta, oltre che abile uomo politico, si attornia di artisti e di intellettuali come il Poliziano, il Botticelli, Pico della Mirandola. Sotto di lui Firenze gode di un periodo di pace (se si eccettua la crisi succeduta alla congiura dei Pazzi), durante il quale tutto il popolo, grazie soprattutto a una politica di cultura di massa voluta da Lorenzo stesso – anche contro il parere dei suoi più stretti collaboratori, primo fra tutti il Poliziano, che vede nella cultura un privilegio di classe – è coinvolto in un clima di fermento intellettuale.
L’Accademia Platonica e il palazzo dei Medici sono i due centri nei quali si accendono le dispute filosofiche e teologiche che di qui si propagano sia nei salotti eleganti sia nelle strade di una Firenze che, non avendo più apparenti problemi politici su cui discutere, si impegna su dispute spesso fini a se stesse.
In effetti a questa politica culturale non corrisponde una crescita intellettuale vera e propria, per lo meno a livello popolare: spesso tutto questo fermento di dispute si risolve in un puro gioco intellettuale, in un passatempo mondano. E’ comunque innegabile che questo ideale rimanga un fatto positivo e certamante nuovo nella storia moderna, ed è forse il maggior merito di Lorenzo come statista.
Per quanto riguarda il fenomeno musicale di questo periodo si osserva che è dominato dalla polifonia fiamminga.
“La tradizione fiamminga doveva […] avere la sua continuazione nel gruppo dei musicisti fiorentini già patrocinati da Lorenzo de’ Medici e attivi poi nel periodo successivo alla sua morte: Alessandro Coppini, Bartolomeo Fiorentino, Giovanni Serragli e ancora Francesco Layolle e Bernardo Pisano rimasero legati alla tradizione plurivocalistica fiorentina che aveva i suoi precedenti in Agricola e un padre in Isaac, al punto da rappresentare l’unica contrapposizione alla dilagante estetica frottolistica. Il loro contributo alla vocalizzazione della musica italiana fu fondamentale e, attraverso le canzoni a ballo, le ballate e i canti carnascialeschi giungerà, pressoché incontaminata dalla maniera frottolistica, al madrigale.”[1]
L’unico carattere, però, tipicamente fiorentino è dato dal canto carnascialesco, di cui lo stesso Lorenzo il Magnifico fu appassionato cultore. Lo schema poetico è generalmente quello della ballata. Creato per essere utilizzato durante le feste di carnevale, specialmente per accompagnare i carri mascherati, doveva con ogni probabilità essere monodico. Neanche una versione originale di questi canti è sopravvissuta al periodo Savonaroliano. Le fonti che abbiamo sono tutte databili non prima dell’inizio del Cinquecento e sono interpretazioni “dotte”, a tre o a quattro voci, dei musicisti di scuola fiamminga sopra citati.
Tra le fonti che ci permettono di conoscere la musica fiorentina degli anni a cavallo fra il XV e il XVI secolo abbiamo preso in esame il Codice Basevi Ms. 2440 della Biblioteca del Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze.
Questo codice, pergamenaceo, è di proprietà della Biblioteca del Conservatorio dal 1885, come parte della donazione del prof. Abramo Basevi.
Il libro contiene, nelle sue 200 pagine, 55 composizioni in gran parte anonime (solo 15 recano il nome dell’autore).
La notazione è quella mensurale bianca e la scrittura la corsiva umanistica; ambedue testimoniano il lavoro di più amanuensi.
A volte il testo letterario è indicato in modo sommario (talvolta è presente solo nella parte del cantus), con poca precisione per quanto riguarda il rapporto con la musica, e non di rado è leggibile con molta difficoltà. Questo in parte è imputabile anche allo stato di conservazione del codice, che presenta notevoli danni a causa soprattutto dell’umidità che in alcuni punti impedisce del tutto la lettura (dal fac-simile di alcune pagine, pubblicato sulla R.M.I. nel 1911 si ricava che il danno è precedente a quella data, ma è certamente molto anteriore) .
Fra le 55 composizioni racchiuse in questo volume troviamo frottole, villotte e canti carnascialeschi, il prodotto, questi ultimi, più tipico della cultura fiorentina dall’epoca laurenziana fino ai primi decenni del ’500.
Fra i compositori i cui nomi figurano su queste pagine ricordiamo Bartolomeo degli Organi, Bernardo Pisano, Francesco Layolle, Michele Pesenti, insieme a due illustri fiamminghi, Heinrich Isaac e Alexander Agricola, “[…] strenui campioni della scuola dell’ Ockeghem.”[2]
Per quanto riguarda la datazione, questa si deve ascrivere non già alla fine del ’400, come si è per molto tempo ritenuto (Torrefranca), ma piuttosto almeno al secondo decennio del 1500. La prova è la presenza di composizioni di Bernardo Pisano (nato nel 1490) e di Francesco de Layolle (nato nel 1491) .
Questo codice è molto importante perché ha permesso di portare l’attenzione degli studiosi sul gruppo di musicisti fiorentini, praticamente dimenticati, che però furono giudicati dai contemporanei degni di stare accanto ai due sopracitati fiamminghi, in “una raccolta che per il lusso della legatura si arguisce destinata al repertorio per canto delle riunioni eleganti dell’epoca.”[3]
I brani da noi scelti per una più accurata analisi sono i seguenti:
1) “Amor che sospirar mi fai” di Alexander Agricola, frottola a tre voci.
2) “Noi sian, donne” (canto de’ Cardoni), canto carnascialesco a tre voci di anonimo.
3) “Cantiano, horsù cantiano”, frottola a quattro voci di anonimo.
4) “L’ultimo dì di maggio”, villotta a quattro voci di anonimo.
[N.B.:per l’analisi e la trascrizione in notazione moderna si rimanda ai singoli post presenti su questo sito nella categoria “Studi e analisi”]
Criteri impiegati nella trascrizione.
Per quanto riguarda il testo letterario ci siamo attenuti il più possibile all’osservanza rigorosa della grafia originale (es: cantiano al posto di cantiamo), compreso il carattere maiuscolo o minuscolo delle parole.
I nostri interventi riguardano:
a) la divisione di due parole qualora si presentassero unite (es.: lanotte → la notte);
b) l’aggiunta della punteggiatura;
c) l’aggiunta di sillabe dove si presentava una deficienza ritmica e concettuale: in tal caso abbiamo indicato la nostra aggiunta fra parentesi quadra (es.: genti[li]).
Per quanto riguarda il testo musicale abbiamo così operato :
a) ritmica:
1) Il è stato reso con il moderno ;
2) I valori sono stati tutti dimezzati ;
b) note:
1) abbiamo aggiunto il o il sopra le note dove ci sembrava indispensabile;
2) abbiamo aggiunto, sopra le note, l’indicazione o dove ciò non era, a parer nostro, strettamente necessario;
3) talvolta è stato necessario ricostruire una parte. Le nostre aggiunte sono fra parentesi quadre;
c) grafia:
1) le chiavi di do1, do2, do3, do4 sono state realizzate in chiave di violino, o violino tenorizzato, o basso;
2) le ligaturae sono indicate con una legatura quadra ;
3) per maggior chiarezza abbiamo scritto, all’inizio di ogni composizione, le prime note di ogni voce unitamente alla chiave e all’indicazione di tempo originali.
Criteri impiegati per la realizzazione della partitura.
a) Si è reso necessario a volte emendare il testo musicale per evitare successioni erronee (per es. di 2e). In tal caso il testo originale compare in una nostra nota alla fine di ogni composizione;
b) si è mantenuta la ripetizione di parole solo dove queste erano ripetute anche sul manoscritto (solo in un caso si è fatta un’aggiunta necessaria: in questo caso si è usata la parentesi quadra);
c) la parentesi quadra è stata usata inoltre nei punti dove il testo era completamente mancante;
d) abbiamo adottato, nella trascrizione in partitura, l’uso delle stanghette intere, a nostro avviso più comode per la lettura, senza per questo voler sottintendere un’accentuazione in senso moderno.
Carlo Deri, 1985
[1] Francesco Luisi, La musica vocale nel Rinascimento, ERI – Edizioni RAI Radiotelevisione italiana, Torino 1977
[2] Riccardo Gandolfi, Intorno al Codice membranaceo di ballate e di canzoncine di autori diversi, con musica a due, tre, quattro voci, esistente nella biblioteca del R. Istituto Musicale di Firenze, N.2440, Rivista Musicale Italiana, vol. XVIII, fasc. 3°, 1911
[3] R. Gandolfi, op. cit.
Questo studio è stato effettuato sotto la guida del M° Francesco Luisi nel quadro delle attività relative all’esame di Estetica della Musica. Firenze, Conservatorio “Luigi Cherubini”, 1985
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